Sulle vicende storiche che hanno caratterizzato la nostra Patria nel corso della Prima Guerra Mondiale, sono state dette innumerevoli cose, migliaia di libri sono stati scritti, storie generali e particolari, militari e diplomatiche, politiche ed economiche, ed altri verranno pubblicati in occasione di questo centenario.

Naturalmente l’occasione della celebrazione del Centenario darà modo a tutti di esprimersi secondo le loro personali sensibilità.

La nostra Associazione non si trova certo impreparata ad un simile evento.

È dal 1919 che gli Alpini ricordano i Caduti della Grande Guerra.

Lo hanno fatto formando questo sodalizio e, sapendo che gli statuti possono essere facilmente modificati, hanno inciso nel marmo della Colonna Mozza, in Ortigara, la regola immodificabile, l’essenza stessa della associazione, che è racchiusa nel motto nel motto: “Per non dimenticare”.

Quello che interessa alla nostra Associazione, però, non è tanto un’idea di commemorazione statica e storicistica quanto piuttosto il ricordo dinamico e vivo dell’uomo semplice e della sua tenacia, del suo infinito coraggio e senso del dovere che riesca a suscitare negli uomini d’oggi quei sentimenti di compassione e di ammirazione che impongono di misurare le proprie azioni quotidiane con tanto valore.

Anche i più tragici e grandiosi eventi si perdono nella memoria: i lutti si dimenticano, l’erba ricresce sulle trincee e sulle tombe; imperi sono crollati ed altri cambiamenti si verificheranno.

Ciò che resta, però, è l'esperienza umana del dolore e del dovere, la profonda capacità di dare e di resistere, una lezione sommessa ed altissima di piccoli uomini sconosciuti, più veri e più grandi dei Grandi.

Anche l’esperienza umana del dolore del dovere, tuttavia, per non andar perduta ha bisogno che nella coscienza collettiva della società vi sia la consapevolezza che i fatti che caratterizzarono quel periodo furono reali e passarono sulla pelle di centinaia di migliaia di ragazzi, di uomini e di donne.

Col tempo infatti si corre il rischio che la prima guerra mondiale sia vissuta, specie dalle giovani generazioni che non hanno avuto testimonianze dirette, come un evento lontano e quasi leggendario. Una sorta di gigantesco romanzo popolato di soggetti immaginari. Quelli che vivono e muoiono senza dolore e senza particolari conseguenze.

Ed allora occorrerà, per prima cosa, fare in modo che i nomi incisi sui monumenti ai caduti presenti nelle nostre città e nei nostri paesi, tornino ad essere abbinati ad un essere umano fatto di carne e sangue di ossa. Ad un essere umano che aveva i suoi affetti familiari, le sue amicizie, le sue attività come chiunque di noi.

Occorre, cioè, restituire la dignità di uomo a quello che oggi altro non è che un semplice nome inciso sulla lapide.

Il secondo passaggio dovrà fare giustizia di quella semplificazione mistificatoria che nel tempo si è stratificata e che ha dipinto il soldato italiano come imbelle, vigliacco e sempre alla ricerca di una scorciatoia.

Il capolavoro di Monicelli “La Grande guerra” è un esempio abbastanza evidente di questa incredibile semplificazione.

Occorre, pertanto restituire a quegli uomini anche la dignità di soldati e quella di semplici eroi.

Già perché i soldati italiani furono eroi sulle pietraie del Carso, sulle nevi dell’Adamello. Furono eroi in Ortigara, in Pasubio e sul Grappa. Ovunque!

Una volta restituita a questi semplici eroi la dignità di uomo e di soldato sarà necessario capire cosa abbia spinto questi ragazzi ad affrontare i disagi, i pericoli e gli orrori di quella che è stata giustamente definita  l’Inutile Strage.

Qualcuno, con analisi semplicistica, potrebbe arrivare a dire che i soldati sono stati mandati al fronte sotto l’ordine imperativo del Re e con i fucili dei carabinieri ben piantati nella schiena, ma, ad una analisi meno semplicistica, verrebbe da chiedersi quanti dovevano essere i carabinieri per spingere al fronte qualche milione di uomini armati fino ai denti.

Forse qualcuno fu davvero spinto dai fucili delle guardie ma altri, la stragrande maggioranza, andarono al fronte e si comportarono da soldati solo ed esclusivamente per rispondere ad un semplice ed elementare dovere del cittadino.

È andarono con l’intima convinzione di contribuire, in un modo o nell’altro, a fare dell’Italia un posto migliore dove vivere e crescere i loro figli.

Ed allora il ricordo non potrà che avere come obiettivo quello di accendere nei cuori, soprattutto dei giovani, una sorta di ardore civile che li spinga ad operare per dare un senso a quell’immane sacrificio attraverso il raggiungimento dell’obiettivo che quei ragazzi cent’anni fa si prefiggevano: fare dell’Italia il posto migliore dove crescere i loro figli.

Ecco perché gli alpini hanno col tempo aggiornato quel moto iniziale del “Per non dimenticare” con  quello attuale del “Ricordiamo i Caduti aiutando i Vivi”.

Le commemorazioni per il Centenario della Grande Guerra, dunque, dovranno servire per ricostruire ciò che dal secondo dopoguerra in avanti è stato scientificamente distrutto:  il concetto di Patria e di identità nazionale.

All’inizio del terzo millennio la società ha cominciato a constatare che uno dei maggiori problemi era costituito proprio dalla mancanza del sentimento nazionale e dell’amor di Patria.

E la parola Patria è tornata, piano piano, ad assumere il ruolo delle cose perdute ma che si vogliono ritrovare.

Sul Corriere del 28 febbraio del 2001, ad esempio, in un articolo dedicato alla scuola che non insegna "l'Italia" agli studenti, si leggeva:

"L'idea di Patria, nella sua accezione mite e umana è  inestricabilmente legata al sentimento dei luoghi,  alle immagini e alle atmo­sfere che producono...".

E, giudicando sbagliate le scelte delle gite all'estero degli studenti, piuttosto che in Italia, si sosteneva che fosse trascurato un altro importante capitolo della formazione giovanile quello rivolto al sentimento dell'identità nazionale.

L’importanza di questo sentimento, l'attaccamento alla Patria, alla Bandiera, alla propria storia e tradizioni, costituisce l'elemento distintivo e fondante di una Nazione.

Nell’ambito di queste linee guida si muoverà l’Associazione Nazionale Alpini per commemorare questo centenario con la speranza che questo evento possa davvero costituire un punto di ripartenza soprattutto morale di questo che, senza falsa modestia, è il più bel paese del mondo. Naturalmente gli alpini si augurano, in questo esaltante percorso, di essere affiancati dalle Istituzioni e da chiunque abbia a cuore i destini di questa Nazione.

Solo riaccendendo nel cuore dei giovani l’Amore per la Patria, il rispetto per chi per essa ha dato la vita, solo riscoprendo i grandi valori di fratellanza e solidarietà che da quella tragica esperienza sono sopravvissuti, solo così si potrà sperare di risollevare la testa.