“Quando, o Alpini, nei momenti più tragici della ritirata di Russia, egli promise ai morenti che sarebbe diventato padre dei loro orfani figli e quando a guerra finita, egli guardò alla pietà immensa di file e file di ragazzi e di bambini mutilati dalla cieca crudeltà della guerra, la sua anima completamente si rivelò: era un soldato della bontà. Darsi per il bene degli altri, consolare, sorreggere, rieducare, far vivere, questa era la sua milizia, questa era la sua vocazione. Eroi eravate tutti, ma lui, per giunta, era un Santo. 3 aprile 1960 - Card. Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, poi Papa Paolo VI |
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«Due miei figli li hai già presi, Signore. Il terzo te l'offro io, perché tu lo benedica e lo conservi sempre al tuo servizio». Con queste parole, la mamma di Don Carlo Gnocchi prefigurava il destino di suo figlio. Incaricato dell'assistenza spirituale degli Universitari di Milano, allo scoppio della guerra, Don Gnocchi, per coerenza alla sua missione educativa vuole essere presente con i suoi giovani anche nel pericolo; si arruola volontario come Cappellano degli alpini nel Battaglione "Val Tagliamento" e con essi va sul fronte greco albanese. Ritornato in Patria nel 1942 Don Gnocchi riparte con gli Alpini della Tridentina per il fronte russo. 17 gennaio: la Divisione Tridentina riceve l'ordine di ritirarsi. Circa ventimila uomini si mettono in marcia verso l'Italia, attraverso 400 chilometri di steppa gelata, a 40 gradi sotto zero. Undici volte i russi tenteranno di sbarrare il passo ai soldati italiani che ripiegano: per undici volte gli Alpini andranno all'assalto e spezzeranno quel cerchio di ferro e di fuoco. Don Gnocchi è con loro. Una parola batte e ribatte nel cervello sino al limite di una lucida pazzia: camminare. Se vuoi tornare a casa cammina, se vuoi rivedere i tuoi cammina, se non vuoi cadere prigioniero cammina, se non vuoi morire cammina...: sfinito, si accascia ai margini della pista dove si snoda la fiumana dei soldati; miracolosamente soccorso, è adagiato su una slitta e salvato. "In quei giorni fatali - scrisse poi in "Cristo con gli Alpini" - posso dire di aver visto finalmente l'uomo. L'uomo nudo; completamente spogliato, per la violenza degli eventi troppo più grandi di lui, da ogni ritegno e convenzione, in totale balìa degli istinti più elementari emersi dalle profondità dell'essere. Ho visto contendersi il pezzo di pane o di carne a colpi di baionetta; ho visto battere con il calcio del fucile sulle mani adunche dei feriti e degli estenuati che si aggrappavano alle slitte, come il naufrago alla tavola di salvezza; ho visto quegli che era venuto in possesso di un pezzo di pane andare a divorarselo negli angoli più remoti, sogguardando come un cane, per timore di doverlo dividere con altri; ho visto ufficiali portare a salvamento, sulla slitta, le cassette personali o persino il cane da caccia o la donna russa, camuffati sotto abbondanti coperte, lasciando per terra abbandonati i feriti e i congelati; ho visto un uomo sparare nella testa di un compagno, che non gli cedeva una spanna di terra, nell'isba, per sdraiarsi freddamente al suo posto a dormire... Eppure, in tanta desertica nudità umana, ho raccolto anche qualche raro fiore di bontà, di gentilezza, d'amore - soprattutto dagli umili - ed è il loro ricordo dolce e miracoloso che ha il potere di rendere meno ribelle e paurosa la memoria di quella vicenda disumana". Sulla tradotta affollata di feriti, uno voce lo chiamò. Era un moribondo: "Il mio bambino… Lo raccomando a lei, signor Cappellano". "Stai tranquillo, ci penserò io". E fu come un giuramento. La sua promessa all'alpino morente fu come un voto religioso che lo portò ad avere cura non solo degli orfani, ma di tutti i bambini martiri della guerra. Tornato quasi miracolosamente a casa, guidato dal suo taccuino zeppo di indirizzi, prese a distribuire il prezioso carico portato con sé dalla Russia: vecchie catenine, anelli, qualche lettera… Consegnava quei poveri ricordi e chiedeva: "Posso fare qualche cosa per voi?". Negli occhi e nella mente le parole del soldato morente: "Il mio bambino... Lo raccomando a voi...". In questo stesso periodo, entrato a far parte dell'O.S.C.A.R., aiuta molti partigiani e politici a fuggire in Svizzera, rischiando in prima persona la vita: viene arrestato dalle SS con la grave accusa di spionaggio e di attività contro il regime, ma viene liberato grazie all'intervento dell'arcivescovo di Milano. Nel 1944, dall'incontro con Teresio Olivelli nasce “Il Ribelle”, l'organo di stampa delle Brigate Fiamme Verdi, formazioni partigiane di orientamento cattolico. Dal 1945 inizia l'opera che lo porterà a guadagnare sul campo il titolo più meritorio di "padre dei mutilatini", la "Federazione Pro Infanzia Mutilata". Il 28 febbraio 1956, la morte lo raggiungerà prematuramente presso la Columbus, una clinica di Milano, dove era da tempo ricoverato per una grave forma di tumore. Ebbe funerali di proporzioni straordinarie per partecipazione e commozione: gli Alpini portarono sulle spalle il loro Cappellano, altri i piccoli mutilatini in lacrime. Uno di questi piccoli così Lo salutò: “Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Adesso ti dico: ciao, San Carlo”. Don Gnocchi, è il Cappellano degli Alpini per antonomasia. Molti sono stati i Cappellani che hanno vestito la Divisa Alpina, ma Lui ha capito l’anima degli alpini, personificandone i valori essenziali ed uguagliandone concretamente gli stili di vita. “Questi Alpini sono la mia “meditazione giornaliera” ed ho imparato ed imparo molte cose da loro. Attuarle però è un’altra cosa”; in realtà c’è riuscito perfettamente: per realizzare la Sua grande Opera, ha adottato l’identica tenacia e la stessa concretezza e fronteggiare le difficoltà che via via gli si paravano davanti paragonandoli a vette da scalare. Nelle giornate tremende, vedendo i suoi Alpini “abbandonarsi perdutamente sulla neve, facendosi punti oscuri, sempre più piccini e insignificanti in quella pianura sterminata di neve bianca ed insolente, davanti agli occhi allucinati e imploranti coi quali, accasciati per terra, seguivano la colonna dei superstiti dilungarsi funerea e senza speranza verso l’orizzonte lontano e indifferente, verso la Patria, verso la libertà, verso la casa”, promise di farsi carico dei loro figli. Molti anni dopo, in una delle camerate dei “suoi mutilatini”, sentì di aver finalmente pagato quel debito: “L’altra sera, una chiara e fredda sera invernale spazzata dal vento, i miei piccoli, gli orfani dei miei alpini dormivano tutti naufragati nei grandi letti bianchi, della casa austera e serena preparata per loro. Dormivano il loro sonno di seta, popolato di corse spensierate al paesello alpestre e nell’oscurità frusciante di innocenti pensieri e di sogni ridenti, tornai a vedere gli occhi desti e trafiggenti dei miei morti. Lente e stanche le palpebre del sonno scendevano su di essi. I miei morti finalmente riposavano in pace”. Ma volle che la sua vita straordinaria si concludesse con un gesto straordinario di amore: la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti quando in Italia il trapianto di organi non era ancora disciplinato da apposite leggi. Trent’anni dopo la sua morte, il Cardinale Martini istituirà il Processo di Beatificazione. Il 20 dicembre 2002 il Papa lo ha dichiarato venerabile. Il 25 ottobre 2009 l'Arcivescovo di Milano, Cardinale Tettamanzi alla presenza di numerosi Alpini e fedeli, proclamerà Don Carlo Gnocchi, Cappellano degli Alpini, Beato. (Medio Don 14-22 gennaio 1943)
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